Dopo quasi 40 anni di battaglie sindacali, è arrivato il verdetto di primo grado nel processo per l’ex Isochimica di Avellino, la fabbrica dove negli anni Settanta si bonificavano dall’amianto le carrozze ferroviarie. Per la Cgil di Avellino si tratta di una sentenza storica. 

 Quattro condanne a 10 anni di reclusione e 22 assoluzioni. È questo il verdetto di primo grado pronunciato dopo cinque ore di Camera di consiglio dai giudici del Tribunale di Avellino sull'Isochimica, la fabbrica del capoluogo irpino nella quale per quasi dieci anni, a partire dalle fine degli anni Settanta, venivano bonificate dall'amianto le carrozza ferroviarie su commesse delle Ferrovie dello Stato.

Il collegio giudicante (presidente Sonia Matarazzo, giudici a latere Pier Paolo Calabrese e Gennaro Lezzi) ha condannato a dieci anni di reclusione il responsabile della sicurezza di Isochimica, Vincenzo Izzo, e il suo vice, Pasquale De Luca; Aldo Serio e Giovanni Notarangelo, funzionari di Ferrovie dello Stato. Disposta anche una provvisionale di 50mila euro per ognuna delle famiglie dei 33 ex operai deceduti per patologie correlate alla prolungata esposizione all'amianto. Il processo, durato quasi sei anni, si è svolto nell'aula bunker del carcere di Poggioreale di Napoli a causa della mancanza di spazi adeguati a disposizione del tribunale di Avellino.

«C'è la condanna dei principali imputati, tra cui Ferrovie dello Stato che deve risarcire le parti civili e i lavoratori impegnati nell'attività di scoibentazione delle carrozze ferroviarie dall'amianto senza la dovuta sicurezza e sistemi di tutela che hanno determinato danni umani e ambientali da malattie asbesto correlate e quindi morte tra i dipendenti. Il riconoscimento del danno procurato ai lavoratori è un dato storico ed importante per il territorio e per la città Avellino», affermano il segretario generale della Cgil Napoli e Campania, Nicola Ricci, e il segretario generale della Cgil Avellino, Franco Fiordellisi.

«La Cgil - continuano i sindacalisti - in questi procedimenti si costituisce parte civile perché viene lesa la salute e la dignità dei lavoratori, ma anche per le criticità che si determinano nel territorio. Serve una vera e severa idea di sviluppo sostenibile per il bene di tutti. Il giudizio, con condanna, evidenzia lo scempio contro i lavoratori, le persone e l'ambiente. La speranza, delusa, di avere un lavoro e vivere con uno stipendio dignitoso che invece per anni ha dato un calvario per malattie e drammi umani connessi alla disapplicazione delle norme di sicurezza, ma anche la successiva sottovalutazione del rischio Amianto e del valore della prevenzione».

«Oggi è dunque un momento importante e storico per tutti coloro che da anni combattono contro la sottovalutazione dell'importanza della prevenzione nei luoghi di lavoro e per l'esposizione all'amianto. Dopo quasi 40 anni di battaglie e di aggressioni al territorio, insieme ai lavoratori, alle famiglie dei lavoratori deceduti, alle associazioni, questa sentenza segna un punto importante».