Grazie all’impegno di una operatrice dell’Inca di Pisa, l’Inail riconosce l’infortunio sul lavoro ad un addetto al casello autostradale, che ha contratto il Covid-19 durante l’esodo lombardo nel primo lockdown.
di Marco Bocci, Inca Cgil Nazionale
Oramai è passato più di un anno dall’inizio della pandemia, e gli infortuni denunciati come derivanti da virus Covid-19 iniziano ad avere le prime definizioni: molto spesso, dispiace dirlo, con una risposta negativa da parte dell’Inail, che non riconosce il caso come infortunio per i motivi più vari. Per questi lavoratori, assistiti dal Patronato della Cgil, si valuteranno il ricorso amministrativo ed, eventualmente, quello legale.
Va infatti ricordato che a seguito di un provvedimento di rigetto da parte dell’Inail non ci si trova nell’univoca scelta di accettare la definizione dell’Istituto o rivolgersi “all’avvocato”. Spesso una pratica di ricorso amministrativo ben istruita, magari con la consulenza amministrativa, medica e medico-legale del Patronato Inca Cgil, può portare al riconoscimento del contagio come infortunio sul lavoro.
E’ quanto avvenuto in questi ultimi giorni ad un lavoratore in servizio presso il casello autostradale di Livorno, che la notte del 7 e l’8 marzo aveva verificato un flusso anomalo di transito proveniente dalla Lombardia, nella tratta Milano-Livorno. Chi ha più memoria si ricorderà le immagini, passate su tutte le tv nazionali, dell’esodo “di massa” avvenuto nelle ore immediatamente precedenti al primo lockdown nazionale, con flussi di persone che con tutti i mezzi di trasporto, tentavano di uscire dalla Lombardia, all’epoca la regione più colpita dal contagio.
Il lavoratore in questione, quella notte, dopo aver lavorato regolarmente al casello (e, pertanto, toccando banconote, carte di credito e a volte le stesse mani dei conducenti) ritornava a casa, dove, dopo un paio di giorni, accusava i primi sintomi da Covid-19 risultando successivamente positivo al tampone. Con il patrocinio dell’Inca di Pisa, il lavoratore inoltrava pertanto denuncia di infortunio, che però veniva rigettata dall’ Inail in quanto: “ ….non esiste nesso causale tra l’evento denunciato e la lesione accertata”.
“A seguito del responso negativo di Inail – racconta Maura Bonistalli, dell’Inca di Pisa, che ha seguito fin dall’inizio il caso – il nostro Patronato, con il consenso del lavoratore, non si è dato per vinto. Dopo aver dimostrato lo stato di buona salute dell’assistito, che non prendeva medicinali ed era un ciclista dilettante e l’assenza di casi di Covid tra i suoi familiari, nonché la sua vita ‘appartata’, stante la gravità della situazione emergenziale di quel momento, siamo riusciti a dimostrare il flusso anomalo di automezzi proveniente dalla Lombardia e a individuare nel giorno dell’ ‘esodo lombardo’ il momento del contagio, determinato dal passaggio di contante e carte di credito tra gli automobilisti e il casellante”. Un lavoro, pertanto, complesso e certosino quello svolto da Maura Bonistalli e dal medico convenzionato con Inca, Valentina Castellani Tarabini, che, per il tramite dell’intervento del legale del Patronato, sono riuscite ad ottenere dalla “Società Autostrada Ligure Toscana p.a.” i tabulati degli accessi al casello: successivamente, con l’intervento del consulente medico legale, utilizzando questi tabulati è riuscita a ricondurre il caso all’evento denunciato, alla luce del dato epidemiologico e cronologico.
Il lavoratore, pertanto, si è visto riconosciuto il caso come infortunio meritevole di tutela Inail e, seppur senza postumi, avrà la garanzia, da qui ai prossimi 10 anni, di riaprire la pratica in caso di eventuali aggravamenti. Ricordiamo, infatti, che ad oggi non si conosce bene il decorso nel lungo termine della patologia da Covid-19, e pertanto il solo riconoscimento del caso come infortunio sul lavoro permette di proporre future revisioni, o denunciare eventuali ricadute all’Inail.
“Il caso del lavoratore al casello di Livorno patrocinato dall’Inca di Pisa – commenta Silvino Candeloro, del collegio di Presidenza di Inca Nazionale- dimostra quanto sia necessario l’intervento qualificato del Patronato per far riconoscere la giusta tutela ai lavoratori. Infatti, la normativa (art. 42 decreto “Cura Italia” e le indicazioni fornite dello stesso Istituto assicuratore con la circolare Inail n. 13/2020) dovrebbe rendere più semplice l’iter per il riconoscimento dell’infortunio per i lavoratori del settore della sanità e per coloro che sono adibiti a mansioni che comportano, in qualche modo, il rapporto con il pubblico, essendo più elevato il rischio di contagio (cassieri, operatori di front-office ecc.). Per queste figure vige la ‘presunzione legale del rischio d’origine’, vale a dire che l’evento dovrebbe essere riconosciuto con una sorta di automatismo. In realtà, l’Inail non solo dimostra a volte di non applicare questo principio, ma addirittura, motivando il rigetto con provvedimenti decisamente laconici e approssimativi, costringe l’Inca ad utilizzare spesso la richiesta di accesso agli atti ex L. 241/90 per andare a verificare la documentazione su cui l’Inail ha fondato il suo giudizio.
Nello splendido lavoro effettuato dall’Inca di Pisa quest’ultimo passaggio è stato evitato, grazie anche all’intuito e alla preparazione della funzionaria, specializzata nella tutela del danno alla persona: ma non possiamo esimerci dal ricordare che dovrebbe essere l’Inail, in un momento così drammatico, ad effettuare una vera e completa istruttoria a garanzia dei lavoratori, duramente colpiti da questa pandemia.”