Un lavoratore della scuola muore di Covid 19, ma per l'Inail non è infortunio, nonostante la documentazione sanitaria dimostri il contrario. L'Inca non si arrende e ingaggia la battaglia affinché siano riconosciute le tutele alla vedova.
La testimonianza della vedova in un video pubblicato su collettiva.it
Il marito di Antonietta faceva front office in una scuola di Napoli. Si è contagiato ed è morto. L'Inail non gli ha riconosciuto l'infortunio. In un video, pubblicato su collettiva.it, il racconto della battaglia che la signora porta avanti con il sostegno del patronato della Cgil. L'appello di Silvino Candeloro, del collegio di Presidenza di Inca rivolto a tutti i lavoratori contagiati: "Rivolgetevi al patronato perché la pratica di richiesta di infortunio all'Inail deve essere compilata in maniera corretta. Importante ricostruire le vicende personali. Molti dei casi che abbiamo patrocinato, dopo un primo rifiuto dell'Istituto, grazie alla nostra azione sono stati accolti"
Giovanni, questo il suo nome, aveva 59 anni, nessuna patologia pregressa, se ne è andato un giorno di maggio, dopo settimane di sofferenza dovute al contagio da covid. Oggi a raccontarne la storia è la vedova, Antonietta Sdino, che ha ingaggiato una battaglia con l’Inail, “non per i soldi, che non ti restituiscono la persona cara, ma perché non è giusto che la vita di un uomo, dopo anni di lavoro e di sacrifici, finisca così, nell’aria”. Si volatilizzi senza lasciare traccia, sembra quasi che voglia dirci la signora. Non trova le parole per descrivere quello che prova.
Giovanni lavorava in una scuola di Napoli, l’Istituto alberghiero Cavalcanti, nella sede di San Giovanni a Teduccio. Tra le sue mansioni c’era l’accoglienza: ogni giorno gli passavano accanto decine di docenti, visitatori esterni, addetti delle ditte esterne alla manutenzione e centinaia di studenti. Anche in quei primi tempi di pandemia, quando i dpi erano introvabili e la conoscenza del virus era pochissima, ma il covid già girava e mieteva i primi contagi.
Eppure, “l’Inail non ha riconosciuto l’infortunio sul lavoro”, ci dice Antonietta sconsolata, nonostante lei e il marito facessero già molta attenzione e di fatto gli unici contatti con l’esterno Giovanni li avesse a scuola dove, appunto, era particolarmente esposto a situazioni di rischio. Il calvario di quest’uomo, consumato a poco a poco dai sintomi del virus, e di sua moglie, lasciata sola in quei giorni di caos, purtroppo è diventato familiare, lo abbiamo già sentito tante altre volte in questi mesi.
Non è facile oggi e dopo tutto questo, rimboccarsi le maniche e lottare perché sia fatta almeno giustizia. “Appoggiatevi al sindacato – è l’appello di Antonietta – perché trovarsi soli in questa situazione non è facile. Con la Cgil e l’Inca, in questi mesi, mi è sembrato di avere una persona al fianco, qualcuno che ti dà una mano e ti dice vabbuo’, camminiamo insieme”.
“È uno dei casi più significativi tra quelli che ci siamo trovati a patrocinare”, ci spiega Vania Chiarolanza, l’operatrice del patronato Inca che ha seguito la vicenda. “Per quanto la struttura abbia provveduto subito a inviare tutta la documentazione all’Inail, l’Istituto ha stabilito che non ci fosse il nesso tra contagio e attività lavorativa. Noi riteniamo, confortati anche dalla circolare della stessa Inail, che per il periodo, l’inizio della pandemia, quando i protocolli di sicurezza non erano ancora così specifici, e per le mansioni di Giovanni, ad altissimo rischio, il caso sia da riportare a una condizione di infortunio sul lavoro. Questo darebbe alla vedova e agli eredi il diritto di ottenere una rendita vitalizia ai superstiti. Una richiesta in discussione perché per ora l’Inail non ha riconosciuto il caso”.
di Simona Caleo, Mattia Carpinelli e Giorgio Sbordoni
L'appello di Silvino Candeloro in questa video intervista pubblicata su collettiva.it