E’ stata recentemente pubblicata una scheda informativa Inail, che fa il punto sulla esposizione al rischio chimico dei lavoratori in edilizia.
In realtà, era dal 2004 che l’European Agency for Safety and Health at Work (Eu-Osha) aveva evidenziato la possibile esposizione al rischio chimico per i lavoratori del comparto edile, soprattutto per quanto riguarda patologie respiratorie (a volte anche importanti) e allergie; nel 2013, inoltre, la stessa Inail aveva contribuito fortemente alla sensibilizzazione di tale problema, attraverso la pubblicazione di un opuscoletto divulgativo, peraltro molto esaustivo.
Ed in effetti, l’esposizione a questo rischio è innegabile in molte fasi della vita lavorativa dell’edile: oltre alla manipolazione di sostanze pericolose (solventi, pigmenti, additivi) basti pensare all’inalazione delle emissioni durante diverse fasi della saldatura, i lavori di demolizione o scavo, ma anche casi particolari, come la stesura di asfalto in luoghi angusti, quali gallerie e sottopassi.
Tale quadro è poi integrato dal progresso tecnico, anche nell’ambito della produzione di materiali utilizzati nell’edilizia: e tra questi, una crescente attenzione è stata posta nei confronti di tutti quegli agenti inquinanti connessi alla cosiddetta “edilizia verde”. Si tratta sostanzialmente, al momento attuale, di tre categorie di sostanze (isocianati, resine epossidiche, fibre minerali artificiali-fibre artificiali vetrose) che, presenti in materiali usati giornalmente da carpentieri, muratori, cementisti, possono creare purtroppo molti problemi alla salute, quali dermatiti da contatto, irritazioni agli occhi e al sistema respiratorio, senza escludere potenziali proprietà cancerogene.
In questo quadro in continua evoluzione, è pertanto importante ricondurci ai principi ribaditi dal D.Lgs. 81/2008, in materia di prevenzione del rischio: quando e qualora non sia possibile fronteggiare l’esposizione al rischio lavorativo con sistemi di prevenzione collettiva o con una diversa organizzazione del lavoro, funzione essenziale deve essere svolta dai Dispositivi di Protezione Individuale (di seguito DPI), che ricoprono pertanto il ruolo di strumento primario per la salute dei lavoratori.
In edilizia, sono sostanzialmente due le tipologie di DPI deputati alla protezione del rischio chimico:
• DPI per la protezione della cute: sono quegli strumenti protettivi (guanti, occhiali, tute) che non permettono all’agente chimico di penetrare, attraverso la pelle, nell’organismo del lavoratore. Ovviamente, dovendo questi presidi sottostare a diversi standard funzionali (non devono impregnarsi a contatto con l’agente chimico e non devono presentare difetti strutturali che consentano il contatto con la sostanza), sono previsti dei criteri valutativi (norma EN ISO 374-1:32018) da superare necessariamente per garantire la salute di chi li indossa;
• DPI per la protezione delle vie respiratoria: l’individuazione del dispositivo idoneo, spesso, risulta non agevole: in funzione del diverso rischio a cui si può essere sottoposti, vi sono dispositivi deputati alla protezione di agenti inquinanti determinati da particelle, gas o vapori, oppure ad una combinazione di tutti questi fattori.
In considerazione pertanto della (ribadita) importanza di questi strumenti nella prevenzione del danno, l’Inail nella sua nota ricorda gli obblighi di datori di lavoro, lavoratori e preposti.
In questa sede l'Inca Cgil pone l’attenzione su:
1. Il diritto dei lavoratori di avere, da parte del datore di lavoro, DPI efficienti, non usurati e funzionali;
2. IL diritto dei lavoratori ad avere, qualora previsto, una formazione adeguata all’uso dei DPI;
3. Il dovere dei lavoratori di segnalare immediatamente qualsiasi difetto o inconveniente riscontrato nel proprio DPI;
4. Il dovere del lavoratore di aver cura del proprio DPI, di non apportarvi modifiche e di seguire le procedure aziendali di riconsegna degli stessi, dopo l’orario di lavoro.