In caso di esito sfavorevole per l’invalido civile della visita di revisione e conseguente revoca della prestazione, gli invalidi possono fare direttamente ricorso al giudice per rivendicare la permanenza del requisito sanitario e il ripristino del beneficio senza dover presentare una nuova domanda amministrativa. E’ quanto, in estrema sintesi, ha stabilito il Tribunale di Venezia, con due sentenze emesse il 23 marzo scorso, sull’annosa questione dei verbali di revisione dell’invalidità civile, respingendo le ragioni di opposizione di Inps.
Secondo il tribunale, le commissioni mediche preposte ad esprimersi sulla permanenza o meno del grado di invalidità precedentemente accertato, devono valutare anche l’eventuale sopravvenuto aggravamento e, in caso di conferma, l’Inps non può pretendere dalla persona disabile la presentazione di una nuova domanda amministrativa per ottenere prestazioni aggiuntive o per continuare a percepire quelle già acquisite.
Desta particolare interesse, il caso affrontato con il verdetto n. 2139/2020 ai danni di un minore, affetto da gravi patologie invalidanti, per le quali aveva già ottenuto il riconoscimento dell’ indennità di frequenza; prestazione confermata un anno dopo in sede di revisione dalla stessa Commissione di verifica, che accertato l’aggravamento delle condizioni di salute, gli riconosce anche il diritto a percepire l’indennità di accompagnamento, ma per ottenerla l’Inps pretende una nuova domanda amministrativa perché, a suo dire, le disposizioni normative non permettono alle commissioni mediche, in sede di accertamento revisionale, di riconoscere una percentuale di invalidità superiore a quella in precedenza determinata”.
Un argomento respinto dal giudice, secondo il quale invece “la semplificazione delle procedure e dell’iter sanitario amministrativo, introdotta con d.l. 90/2014, convertito in legge 114/2014, che “rende ora possibile una gestione unitaria da parte dell’Istituto delle visite di revisione e del relativo iter di verifica” (…) “induce a concludere nel senso della non necessità di una apposita domanda di aggravamento(…)”. Diversamente, secondo il giudice, si attiverebbe “un nuovo iter amministrativo ed una nuova visita, che non potrebbe essere che confermativa della precedente”, facendo valere la richiesta originaria, che “si riferisce a tutte le prestazioni dell’invalidità civile ed handicap”
Lungo questo stesso solco giurisprudenziale, è anche il secondo verdetto (n. 2107/2020). Il caso esaminato riguarda una persona, riconosciuta disabile al 100 per cento che, in sede di revisione, si è vista ridurre l’invalidità al 60 per cento, cioè al di sotto della soglia minima (74%) prevista per poter continuare a percepire le relative prestazioni Inps, che le è costata per questa ragione anche la revoca della prestazione di cui era già titolare. Decisione impugnata davanti al giudice che, a seguito di una consulenza tecnica, accerta una invalidità dell’85%. Richiamando gli stessi argomenti proposti nell’altra causa, la sentenza conclude, che in caso di revoca della prestazione è possibile agire per l’accertamento del requisito sanitario effettivamente goduto al momento della revisione, in quanto diversamente argomentando, si finirebbe per disconoscere la tutela giudiziaria di una situazione, per l’appunto la sospensione ovvero la revoca della provvidenza, che altrimenti resterebbe soggetta all’esclusivo ed insindacabile giudizio dell’Inps”.
In entrambi i casi, l’Inps dunque è stato condannato a riconoscere le prestazioni a partire dalla data della revisione, accogliendo in entrambi i casi esaminati le ragioni proposte dai legali di Inca. Due sentenze che hanno indotto l’Istituto di Previdenza ad un parziale ripensamento: “Dopo tali pronunce – riferisce Fabio Borile, consulente legale di Inca Cgil – l’Inps di Venezia, con comportamento auspicabile e responsabile, ha espressamente rinunciato a tutte le altre opposizioni che erano state promosse sulla questione della revisione”.