Una recente sentenza del Tribunale di Pescara, accogliendo un ricorso patrocinato dai legali di Inca, riconosce il diritto di un cittadino pakistano, con permesso di soggiorno di lungo periodo, a percepire gli Assegni al Nucleo Familiare (ANF) per moglie e figli residenti nel paese di origine. Condannato l’Inps al pagamento.
Fa domanda di assegni familiari chiedendo l’autorizzazione di inserire nel proprio nucleo moglie e figli residenti in Pakistan, ma l’Inps glieli nega per “assenza di convenzione” con quel Paese. Il Tribunale di Pescara però dichiara “discriminatoria” la condotta dell’Istituto di Previdenza Pubblico, perché nega il diritto ad un cittadino extracomunitario, titolare di un regolare permesso di soggiorno per motivi di lavoro, che invece viene riconosciuto agli italiani, operanti all’estero, nelle medesime condizioni. Il Tribunale ha quindi accertato il diritto del ricorrente a percepire gli ANF, nel periodo dal 1 settembre 2012 al 30 giugno 2017, computando nel nucleo familiare il coniuge e i due figli residenti in Pakistan. Da qui, la condanna a carico dell’Inps a pagare quanto richiesto dal ricorrente, con l’aggiunta degli interessi legali maturati e delle spese processuali.
La sentenza n. 1503/2021, emessa il 12 marzo scorso dalla Sezione Lavoro e Previdenza, che nasce da un ricorso di un cittadino pakistano, assistito dall'Avvocato Matteo Tresca, consulente legale di Inca di Pescara, segnala ancora una volta la difficoltà cui vanno incontro i lavoratori stranieri, regolarmente presenti in Italia, quando chiedono l’accesso alle prestazioni di welfare.
Per giustificare il diniego, l’Inps invece ha affermato che lo “Stato italiano, con il D.lgs 3/2007 anche dopo il recepimento della Direttiva UE 2003/109, ha espresso l’intenzione di mantenere un trattamento differenziato fondato sul requisito della residenza sia riguardo allo straniero che per il familiare di cui si chiede la prestazione, negando l’ANF per i familiari che dimorino stabilmente fuori dal territorio della Repubblica", deducendo che il rigetto della domanda derivava non da una condotta discriminatoria ma dalla “mera applicazione di una legge dello Stato”.
Una giustificazione che il verdetto indica come “infondata”, anche richiamando la letteratura giurisprudenziale maturata. Sulla questione, infatti, alcuni Tribunali di merito (tra cui in particolare il Tribunale di Alessandria, Sez. Lavoro, sent. del 01.03.2018) si erano già espressi affermando che la mancata concessione dell'assegno per il nucleo familiare ai cittadini di paesi terzi, titolari di permesso di soggiorno a fini lavorativi o lungo soggiornanti, i cui familiari a carico risultino residenti all'estero, costituisce discriminazione collettiva per ragioni di nazionalità, per violazione delle disposizioni comunitarie. Così pure si era pronunciata la Corte di Appello di Brescia accogliendo un analogo ricorso. La questione poi era arrivata alla Suprema Corte di Cassazione che, nonostante l'orientamento uniforme della giurisprudenza di merito, aveva richiesto alla Corte di Giustizia europea se il diverso trattamento per italiani e stranieri in materia di ANF fosse conforme alle direttive 2003/109 e 2011/98.
Con due sentenze, depositate il 25 novembre 2020, la Corte di Giustizia ha messo fine alla questione dichiarando che tale diversità di trattamento è in contrasto sia con la direttiva 109/2003 (che riguarda i titolari di permesso di soggiorno a tempo indeterminato) sia con la direttiva 2011/98 (che riguarda i titolari di un permesso per famiglia o lavoro o attesa occupazione).
“La sentenza del Tribunale di Pescara - spiega Dina Cianci, direttrice del Patronato Inca Cgil di Pescara - segue la scia già tracciata dalla predetta giurisprudenza di merito, che ha trovato conforto nell'interpretazione della Corte di Giustizia europea, stabilendo un fondamentale principio per cui i lavoratori o le lavoratrici stranieri, che hanno lasciato in patria coniuge o figli, possono richiedere gli assegni per il nucleo familiare per i 5 anni antecedenti la domanda”.