Di fronte ad errori commessi da Inps nell’accreditare i contributivi previdenziali, che inducono il lavoratore a dimettersi dal lavoro, nella convinzione di poter andare in pensione, l’azione di risarcimento del danno è da considerarsi un rimedio a situazioni di obiettiva ingiustizia. Così ha stabilito la Corte d’Appello di Trento, accogliendo il ricorso di un lavoratore, assistito dai legali di Inca, che si è visto rifiutare dall’Istituto previdenziale la domanda di pensione anticipata, dopo aver dato le dimissioni dal lavoro, in virtù di un accordo sindacale, confidando nella correttezza dell’estratto contributivo fornito dall’Inps, che gli attribuiva il diritto al pensionamento. Documento che invece conteneva inesattezze, tali da lasciare il lavoratore in una situazione di incertezza profonda, senza alcun reddito. 

La controversia, di per sé, non è una novità: chiamato in giudizio più volte per errori commessi nell’accreditare i contributi previdenziali degli assicurati, l’Inps ha sempre riproposto la stessa linea difensiva sostenendo che gli estratti conto, che ogni lavoratore può scaricare dal sito istituzionale, non hanno valore certificativo e che è a carico dell’interessato l’onere di verificare la rispondenza dei dati registrati con la propria storia previdenziale.  Una tesi accolta in primo grado dal Tribunale di Rovereto, con la sentenza n.34/2020, che la Corte d’Appello ha completamento ribaltato affermando “il dovere di esattezza nella trasmissione dei dati da parte dell’Inps, nel rispetto dei generali principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei contratti e del correlativo principio di affidamento oltreché nell’esatto e puntuale rispetto d specifiche disposizioni di legge: principi e adempimenti che si debbono ritenere vilati dall’Ente”. 

Richiamando la giurisprudenza di legittimità prevalente, la sentenza afferma che “(…) l’ente risponde del danno derivatone per inadempimento contrattuale, salvo che provi che la causa dell’errore sia esterna alla sua sfera di controllo e l’inevitabilità del fatto impeditivo nonostante l’applicazione della normale diligenza”. Da qui l’ obbligo  di risarcire il danno derivato dall’erronea comunicazione, che non viene meno neppure considerando l’avvertenza contenuta negli  estratti conto previdenziali forniti agli interessati, di effettuare una ulteriore verifica sulla correttezza dei dati in essi contenuti, poiché, dice la sentenza, “è priva di qualsiasi rilevanza”, “trattandosi di una “mera clausola di stile, priva di alcun effetto”. Un orientamento giurisprudenziale già confermato nella sentenza di Cassazione (n. 21454/13), laddove afferma: “I documenti rilasciati dall’Istituto, provenendo da un ente pubblico, devono sempre reputarsi idonei a ingenerare, in chi li riceve, un legittimo affidamento circa l’esattezza e la correttezza dei dati forniti, presumendosi che l’Ente abbia posto in essere, nel rilasciarli, quella doverosa opera di controllo dei dati risultanti dai propri archivi e destinati ad essere forniti a richiesta degli interessati”.

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