Cassazione, accertare la responsabilità del datore di lavoro

Le assenze dal lavoro per infortunio o malattia professionale non possono essere computabili nel cosiddetto periodo di comporto, se il datore di lavoro non abbia osservato le regole in materia i salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. A ribadirlo è la Cassazione con la sentenza n. 2527 del 4 febbraio scorso.

Pertanto, afferma l'Alta Corte, se il lavoratore infortunato o tecnopatico dovesse assentarsi per l'intera durata del periodo di comporto (ovvero quello per il quale è prevista la conservazione del posto di lavoro, generalmente di 180 giorni), il datore di lavoro non può legittimamente procedere al licenziamento. Quindi, in tutti i casi in cui sia accertata la responsabilità dell'azienda, ex art. 2087 del codice civile, i giorni non lavorati possono essere detratti dal periodo di comporto.

La durata del periodo di comporto è subordinata a diversi fattori: primo fra tutti c'è da considerare se il lavoratore è operaio o impiegato. Per quest'ultimo, vige l'articolo 6 del regio decreto 1825/194, in base al quale, la conservazione del posto di lavoro è di 3 mesi, se il dipendente ha un'anzianità di servizio inferiore a 10 anni; di 6 mesi, se invece lavora da più di 10. Tuttavia, tali termini valgono solo se il contratto collettivo applicato non prevede condizioni più favorevoli per il lavoratore.

Per gli operai invece il periodo di comporto per malattia è fissato unicamente dal contratto collettivo. Nel comparto del commercio, per esempio, tale periodo è di 180 giorni massimo, trascorso il quale il datore di lavoro può procedere al licenziamento corrispondendo al lavoratore l'indennità di preavviso e di anzianità.

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