di Gabriela Mella, coordinatrice Area Previdenza INCA
“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”, recita l’articolo 37 della Costituzione. È davvero così? Purtroppo, la realtà del 2025 racconta ancora un'Italia segnata da disuguaglianze, anche di genere. Un discorso che vale per le lavoratrici e per tutte le donne. Il divario si manifesta nell’istruzione, nel mercato del lavoro, nelle retribuzioni e nelle pensioni, anche all’interno delle famiglie, con effetti negativi sulla condizione economica e sociale delle donne.
I dati dell’INPS
Secondo il Rendiconto di Genere 2024 del Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’INPS, le donne rappresentano la maggioranza tra diplomati e laureati, ma le assunzioni femminili si fermano al 42,3%. Le pensionate superano i pensionati (7,9 milioni contro 7,3 milioni), ma ricevono assegni più bassi: nel settore privato, le pensioni di anzianità/anticipate e di invalidità sono inferiori rispettivamente del 25,5% e 32%, mentre per la vecchiaia il gap raggiunge il 44,1%. Le cause sono la discontinuità lavorativa, il lavoro part-time e i salari più bassi, con un impatto diretto sui contributi e sugli importi pensionistici.
Nel settore pubblico, le donne sono più presenti ma meno rappresentate nei ruoli dirigenziali. I requisiti pensionistici, ormai quasi paritari con quelli degli uomini, non compensano le disuguaglianze strutturali.
Le regole pensionistiche per le donne nel 2025
Le donne possono accedere alla pensione anticipata con 41 anni e 10 mesi di contributi più una finestra di attesa di tre mesi, mentre per la pensione di vecchiaia servono 67 anni di età e 20 anni di contributi. Nel sistema contributivo, si può anticipare la pensione a 64 anni con almeno 20 anni di contributi, ma solo se l’assegno maturato supera una soglia minima. È previsto uno sconto per le madri: l'importo soglia si riduce con uno o più figli.
Opzione Donna, misura sperimentale avviata nel 2004, permette alle lavoratrici di ritirarsi prima accettando un assegno calcolato interamente col metodo contributivo.
I requisiti nel 2025 sono:
- 61 anni di età (60 per le madri con un figlio, 59 con due o più figli)
- 35 anni di contributi
- Appartenenza a determinate categorie (caregivers, invalide al 74%, lavoratrici licenziate).
Dal 2023, con requisiti più stringenti, il numero di pensioni liquidate con Opzione Donna è crollato da 21.300 nel 2021 a 4.784 nel 2024. Opzione Donna non si è rivelata la soluzione al problema dell’allungamento dei requisiti pensionistici introdotti con la riforma Fornero, ma negli anni, è stata una via di uscita per le donne, costrette a rinunciare ad una grossa parte dell’importo di pensione maturato (perdite stimate dall’INCA mediamente pari a 400 euro netti mensili) nella maggior parte dei casi per assistere un familiare con disabilità. In altri casi invece, proprio a causa delle grosse perdite, sono state costrette a rinunciare e a rimanere ancora al lavoro fino all’età della pensione di vecchiaia.
L’APE Sociale rimane un altro strumento per anticipare la pensione (63 anni e 5 mesi con 30/36 anni di contributi), ma per molte donne raggiungere questi requisiti è difficile, data la frammentarietà dei percorsi lavorativi.
L’esperienza dell’INCA
Le operatrici e gli operatori dell’INCA riscontrano nelle loro consulenze la difficoltà per le donne di raggiungere i requisiti contributivi previsti, non solo a causa della discontinuità lavorativa, ma anche della necessità di accettare lavori part-time per conciliare vita familiare e lavoro, le cui retribuzioni spesso non raggiungono il minimale con conseguente contrazione delle settimane utili per raggiungere il diritto al trattamento pensionistico, costrette a lavorare di più per arrivare all’anno pieno.
L’INCA svolge un incessante e quotidiano lavoro di consulenza previdenziale e per questo è un punto di osservazione delle dinamiche previdenziali e dei cambiamenti che l’applicazione delle norme comporta.