Due importanti sentenze, patrocinate dai legali di Inca, ribadiscono che il contratto di lavoro intermittente non può essere equiparato ad un lavoro subordinato e pertanto in caso di disoccupazione involontaria la durata dell’indennità NASpI deve essere calcolata prendendo a riferimento il numero delle giornate di lavoro effettivamente svolte.
Richiamando la normativa che stabilisce la decadenza dal diritto quando il disoccupato, durante il periodo di percezione dell’indennità, si rioccupi per un periodo superiore a 6 mesi, i tribunali di Trento e Rovereto, con due recentissime sentenze (n. 163/2021 e n. 40/2021, emesse entrambe nel luglio scorso) respingono ancora una volta l’interpretazione di Inps, che calcola il semestre senza soluzione di continuità considerando la durata teorica del contratto di lavoro, anche se intermittente, e non le effettive giornate di lavoro svolte. Un comportamento che ha come conseguenza di trasformare le mensilità già percepite a questo titolo in indebiti, di cui chiede la restituzione.
La questione non è nuova. Più volte il Patronato della Cgil si è rivolto ai giudici in difesa di quanti si sono visti recapitare la lettera di Inps con la richiesta di restituire somme anche considerevoli.
Il tema di fondo di queste due ricorsi è sostenere che se il lavoratore in NASpI stipula un contratto di lavoro intermittente, senza indennità di disponibilità, superiore a 6 mesi, decade dal diritto solo se le effettive giornate lavorate superano questo limite. In caso contrario, si applica, come recita la normativa, la sospensione della NASpI e non la decadenza.