Il Tribunale del Lavoro di Padova accoglie il ricorso di un detenuto, che durante la detenzione aveva lavorato per l'amministrazione penitenziaria, a cui l'Inps aveva negato il diritto alla Naspi. Soddisfazione è stata espressa da Inca e Cgil provinciali, riferendo che ci sono pendenti altri quattro ricorsi analoghi e almeno una cinquantina i detenuti nella medesima situazione. 

Non è la prima volta che la giustizia corregge l'interpretazione di Inps, contenuta nel messaggio n. 909 del 2019, secondo cui i detenuti dipendenti dell’Amministrazione penitenziaria non hanno diritto alla Naspi. Un anno fa, la sentenza dle tribunale di Venezia aveva condannato l'Istituto previdenziale in una causa analoga. ed è di pochi giorni fa la pronuncia del Tribunale di Milano, n. 2718 del 10 novembre scorso. La pronuncia n. 603/2021,quindi, non fa che rafforzare le ragioni dei ricorsi patrocinati dai legali di Inca e Cgil, per ottenere la cancellazione di questa odiosa discriminazione. 

Il caso esaminato dal Tribunale di Padova riguarda un detenuto che aveva lavorato direttamente per l'amministrazione penitenziaria, come addetto alla distribuzione dei pasti per diversi mesi. "Si badi bene - precisa Antonella Franceschin, direttrice dell’Inca Cgil Padova -, che se invece di lavorare direttamente per il carcere, avesse lavorato per conto di una delle cooperative che operano all'interno del Due Palazzi, la NAspI gli sarebbe stata riconosciuta. Secondo l'Inps, la sua posizione era del tutto simile a quella di qualsiasi dipendente del Ministero di Grazia e Giustizia che in quanto tale non ha diritto alla Naspi". "A noi - continua Franceschin - sembrava una evidente forzatura per cui, di comune accordo con la segreteria confederale della Cgil, abbiamo deciso di 'accompagnare' alcuni detenuti, per la precisione 4, nei loro ricorsi. Questa è la prima sentenza che ci arriva e ci conforta, considerato che le altre tre situazioni sono praticamente uguali. Ma al carcere "Due Palazzi" saranno almeno una cinquantina i detenuti a cui è stata negata la Naspi dopo aver lavorato per l'amministrazione penitenziaria”.

“Siamo ottimisti – conclude la direttrice dell’Inca Cgil di Padova – sull'esito finale, anche perché ci sono state altre sentenze simili in Lombardia, contro cui l'Inps ha deciso di ricorrere in Cassazione. Per capire se e quando procederanno con i pagamenti toccherà attendere l'esito di questi ricorsi. Intanto però voglio pubblicamente ringraziare l’Avvocata Marta Capuzzo dello Studio Legale Moro per questo ennesimo ottimo risultato e Graziano Boschiero, dello sportello Inca all’interno del carcere 'Due Palazzi' che ha seguito fin dall'inizio la vicenda”.

Per Sergio Palma, della segreteria confederale della Cgil di Padova, la pronuncia conferma che "il riconoscimento del lavoro deve valere sempre in termini etici, morali ed economici indipendentemente se lo si svolge dentro o fuori un istituto di pena, come in questo caso. E' Veramente assurdo da un lato, da parte dell’Inps, equiparare il detenuto lavoratore a qualsiasi altro lavoratore dipendente a tempo indeterminato del ministero di Grazia e Giustizia e, allo stesso tempo, negare qualsiasi equiparazione con i detenuti che lavorano per datori di lavoro diversi dall'amministrazione penitenziaria. Una differenza di trattamento che il giudice, nella sentenza, ha smontato pezzo per pezzo riconoscendo, peraltro, assolutamente infondata la pretesa da parte dell’Inps di negare l’involontarietà della disoccupazione data la cessazione del rapporto di lavoro con la fine della detenzione. Un'evidente alterazione della realtà, dal momento che, come è stato scritto nella sentenza, non è certamente il detenuto a scegliere quando essere rimesso in libertà e quindi non dipende certo da lui la fine del rapporto di lavoro”. 

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