Corte Costituzionale: illegittimo il taglio della pensione di reversibilità in cumulo qualora la decurtazione sia superiore ai redditi aggiuntivi. La decurtazione sulla pensione di reversibilità applicata in caso di cumulo con altro reddito, non può essere più alta del reddito stesso: lo prevede una recente sentenza della Corte Costituzionale, che dichiara illegittima la legge 335/1995 nella parte in cui, in caso di cumulo tra pensione ai superstiti e redditi aggiuntivi, non prevede un limite alla decurtazione effettiva, rapportato alla concorrenza dei redditi stessi.
Il punto controverso riguarda i parametri utilizzati per stabilire le percentuali di decurtazione della pensione di reversibilità a fronte di redditi aggiuntivi del beneficiario. Sono indicati nella Tabella F allegata alla legge 335/1995. La percentuale di cumulabilità può andare dal 75 al 50% della pensione di reversibilità, a seconda dell’entità dei reddito aggiuntivi del beneficiario.
La sentenza spiega che l’applicazione di tali disposizioni può comportare riduzioni che superino l’importo dei redditi aggiuntivi. Questo contraddice in modo palese la ratio della disciplina del cumulo, che va modulata in necessaria armonia con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza.
La Corte conclude che è necessario introdurre un tetto alle decurtazioni della pensione di reversibilità a fronte di un reddito aggiuntivo, fino a concorrenza di tali redditi. Integrando in questo senso la legislazione vigente.
La sentenza è pubblicata in Gazzetta Ufficiale ( n. 27 del 6 luglio 2022) e sancisce pertanto il divieto di decurtazione effettiva della pensione ai superstiti eccedente l’ammontare complessivo dei redditi aggiuntivi, per l’omessa previsione di tale casistica nella Legge 8 agosto 1995, n. 335, art. 1, comma 41, terzo e quarto periodo (e conseguente allegato in Tabella F), che configura pertanto elementi di irragionevolezza ed illegittimità costituzionale.